Orani, 18-22/05/2018

Ho dimenticato il mio taccuino degli appunti, apro un Word e ci butto dentro pensieri sparsi, forse poi lo pubblico.

Penultimo giro di residenza.

Si riprende da dove ci si era lasciati, grandi chiacchiere in giro per il paese, attraverso le strade misto pietra/catrame, tra le case misto blocchetto/foratino (rigorosamente a vista), tra un “Pupetto” e una “Abba ardente” al Pub “Porcetto”.

Il resto è attività di studio nella saletta che ci siamo ricavati all’ex mattatoio, dove continua il confronto, e si susseguono le improvvisazioni, tante improvvisazioni, dove esploro un terreno che sino ad oggi non abitavo, anzi, che forse evitavo consapevolmente: Il corpo.

Il mio, in relazione a quello dei miei compagni di viaggio, danzatori, attori, attivatori di spazi, suonatori di gesti, il mio corpo di musicista, dicevo, che da tradizione sarda, è sempre immobile, litico.

Livido.

Le decine di nuovi lividi penso certifichino che ce la sto mettendo tutta, e visto che siamo in un ex mattatoio, è il minimo che mi potesse capitare.

Esploro questa nuova consapevolezza tra movimento e suono con il mio armamentario fatto di Voci, Launeddas, Scacciapensieri, Percussioni, Chitarra, Ventoline e altri oggetti trovati per le strade del paese.

Elena dice che dentro di me abitano tante entità, in una polifonia a volte dissonante.

Forse è vero.

Dov’è Telemaco? – scrive Chiara, e ripercorrendo il percorso della sua fuga (ma poi è scappato davvero?), investighiamo gesti dolci e terribili allo stesso tempo, piccoli rituali. 

Ognuno di noi sta ritrovando nel suo Telemaco, e con lui ritrova i suoi simboli: un nuvolo di mosche, una corda, sale e ghiaccio.

Per quanto mi riguarda, io inseguo un suono che mi ossessiona sin dai primi giorni, il vento a Monte Gonare, un bordone distorto che urla il mio nome.

 

 

Carlo Spiga

Ph. Carlo Spiga