Ascolto la voce di Joele e seguo la profondità del suo sguardo oltre la collina; osservo lo spazio denso intorno ad Antonio, Samuel ed Elena e il talco che li rende così “effimeri”; coltivo lo stupore di Carlo alla scoperta del suo “altro” sè, affamato, impaurito e felice insieme; ascolto le mille voci di Francesco; leggo i pensieri di Maria Chiara e mi immergo nelle visioni di Fabio. Parliamo. Immaginiamo. Cerchiamo. In sala, in macchina, al museo. Appena svegli, mentre mangiamo, mentre camminiamo. Parliamo. Immaginiamo. Cerchiamo. Ascoltano le mie indicazioni, inseguono il fiume delle parole che ho scritto, delle immagini che galoppano dalla mente alla bocca. Nei loro occhi scorgo il dubbio, la gioia, la paura e l’eccitazione di chi custodisce il senso profondo della creazione artistica. Nei loro occhi vedo i miei. E come solo nel teatro mi accade, tutto combacia, tutto trova posto, tutto prende forma. E_scape si compone, letteralmente, come una sinfonia, come materia informe e io ho il privilegio di assistere a questo “miracolo” . E_scape è articolato intorno al tema dello spopolamento come fuga (escape) e paesaggio (scape), indagati dal punto di vista di chi resta, che è poi il materiale di cui disponiamo in residenza: persone, racconti, fotografie, attualità, arte, paesaggio, architettura, storia, letteratura, cibo, etc. L’indagine che stiamo compiendo risiede nella convivenza con tutto questo, nella loro presenza, ma anche nella loro assenza, racchiusa nell’espressione semplice quanto dolorosa “Non c’è niente!” ripetuta come una litania.

All’inizio del viaggio avremmo potuto raccontare lo spopolamento, raccontando ULISSE. Ad esempio, Nivola, che lascia la sua terra, Orani, la sua Itaca, alla quale ogni tanto ritorna. L’eroe che parte (spesso) e ritorna (quasi mai) con il suo carico di esperienze. Noi stessi, gli artisti in residenza, siamo stati un po’ Ulisse, per Orani, per la Sardegna. Viaggiatori che tornano.

Avremmo potuto raccontare gli anziani, i centenari, LAERTE. La memoria e il passato, come nostalgia, nostoi o dolore del ritorno, da tramandare.

Il tema emerso nella seconda sessione di lavoro, e confermato nella terza tappa, è centrato invece su TELEMACO, sul figlio che resta, in attesa del padre. Su colui che aspetta, vive nell’attesa di qualcosa,e resta nella sua isola, per proteggerla, per permetterle di esistere, di vivere, di sopravvivere. Una grande responsabilità.

Durante i nostri soggiorni a Orani abbiamo attraversato il paese, il suo il paesaggio e la nostra attenzione si è naturalmente focalizzata sul non detto, sull’assenza, sul triste e silente tema del suicidio. Come nel testo di Niffoi “La leggenda di Redenta Tiria” gli abitanti sentono una voce che li spinge al suicidio. Persone di varia età che non possono o non riescono ad “andare” fisicamente, oppresse, trattenute da qualcosa che consuma il loro desiderio di vivere e così lasciano la loro terra, i loro affetti, la loro casa. Fuggono, lasciando molto “in sospeso”. Sono anime che restano. Sono ossa. Sono un segno blu oltremare su un muro scrostato.

L’esito di questa residenza è dedicato a loro e a chi vive nella mancanza, vive nell’assenza. E_scape si prende cura dei vivi, attraeverso i morti e il risultato è un’azione performativa dedicata alla Sardegna e a Orani, il paese a forma di cuore.

Chiara Murru