Capita che, durante le giornate di residenza, accompagno le ragazze e i ragazzi in luoghi abbandonati.
Nel visitare questi luoghi ci accompagna spesso un piacevole crepitio innescato dai nostri passi calpestare dei gusci di noce disseminati sul pavimento.
Una melodia costante che ha destato la curiosità nelle improvvisazioni della danza e della musica.
Io ho sempre conosciuto il motivo della presenza di quei gusci di noce sul pavimento e, sia pur non avendola mai scoperta, so bene che sono state lasciate cadere dalla cornacchia in volo con l’intento di spaccare il seme e raccogliere la polpa.
Da piccolo me lo raccontava mio nonno mentre raccoglievamo gli ortaggi in un piccolo orto zappato poco fuori le mura di quella chiesa sconsacrata; quella chiesa dove, insieme alle ragazze e ai ragazzi della residenza, sono ritornato per poi osservarli danzare e suonare.
“Figlio mio, prendi le chiavi di Campusantu Vetzu che andiamo all’orto”.
Questa era la frase che intonava con dolcezza mio nonno quando da Sarule, paese poco lontano e dove risiedevo, solcavo l’uscio della sua casa a Orani.
Sorridevo e, balzo in avanti, si andava insieme a trascorrere i pomeriggi assolati d’estate in quel fazzoletto di terra lontano dal mare, ricco di crolli, pomodori e gusci di noce.
Un mare che ho incontrato pochissime volte da bambino e che da adulto, per motivi di studio, ho solcato con l’emozione di un montanaro.
Oggi di quei pomeriggi assolati conservo un tenero ricordo e da allora sono trascorse molte estati e molte noci sono cascate dal cielo.
Molti passi hanno calpestato i gusci in quei luoghi silenziosi.
Molte persone, in totale intimità, hanno danzato giocando col crepitio dei gusci.
Io, forse per pura casualità, forse per amore o per chissà quale motivo, mi ritrovo oggi nel vivere a Orani.
Il paese dei miei nonni.
Non ho smesso di giocare con i gusci di noce.
Non ho smesso di cercare la cornacchia in volo nell’atto di lasciare cadere il seme di noce.
E solo oggi, con gli occhi di un adulto che ha viaggiato con curiosità per alcune strade di questo mondo, solcato più volte il mare senza perdere lo sguardo del montanaro, riesco a leggere i silenzi del vivere in un piccolo paese.
Riesco a scovare la rottura di questi silenzi grazie al crepitio innescato dai nostri passi calpestare dei gusci di noce disseminati sul pavimento.
Riesco a percepire la bellezza di un piccolo suono che, durante queste giornate di residenza, ha determinato figure e sonorità nelle improvvisazioni della danza e della musica.
Senza alcun dubbio solcherò nuovamente il mare e senza alcun dubbio ritornerò qui.
Ritornerò e vedrò la cornacchia in volo mentre lascia cadere un seme di noce con l’intento di spaccarlo e raccogliere la polpa.
Un seme apparentemente duro ma in realtà fragile, come il cuore degli oranesi.

Luca Cheri

ph. Maria Chiara Sotgiu